President Trump l’aveva promesso. Basta con gli immigranti che tolgono posti di lavoro agli americani. E così, pochi giorni fa sono iniziati i blitz dell’ICE – Immigration and Customs Enforcement – negli ippodromi statunitensi. Dove tradizionalmente la stragrande maggioranza della manodopera è di provenienza extra-Us.
In Louisiana, all’ippodromo Delta Downs sono stati arresati e prelevati 84 lavoratori. Che, indipendentemente dalla loro nazionalità, in larga parte sono già stati spediti nei centri di ‘deportazione’ in Messico, El Salvador e in altre nazioni come il Sud Sudan.
I ‘pericolosi deportati’ – è appena uscito un report molto interessante della Cato Institute in materia – erano lavoratori stabili. Che si occupavano del quotidiano lavoro di scuderia in ippodromo. E siccome gli esempi fanno scuola, dal giorno del blitz del Delta Downs moltissimi lavoratori del comparto ippico, immigrati, hanno iniziato a ‘marcare visita’. Spaventati all’idea di non poter far ritorno alla propria casa e di ritrovarsi, senza né a né ba, caricati in manette e catene su un cargo pronto a partire per qualche paese sconosciuto. Tante le defezioni temporanee in ippodromi come il Meadowlands race course del New Jersey o altri ippodromi in California.
Tralasciando il discorso politico o umano – che sicuramente animerà il dibattito ma ad altri livelli – il tema che la stampa ippica americana sottoliena pone ancora una volta l’accento sul fatto che questi lavoratori sono essenziali negli States.
Come hanno confermato tantissimi trainer, responsabili di scuderie e proprietari di cavalli, questi immigrati sono la preziosa forza lavoro che regge l’intero sistema ippico. Perché svolgono compiti per i quali non esiste più da tempo manodopera statunitense.
Senza contare il fatto che molti di questi lavoratori, nel corso degli anni, hanno acquisito una formazione sul campo che nessun corso e nessuna scuola saprà sostituire in tempo utile al sistema.
Una risorsa insostituibile nel medio termine
Doug O’Neil, trainer molto noto nel mondo dei Purosangue negli States, in una dichiarazione rilasciata alla stampa ha recentemente detto: «Anche se molti lavoratori immigrati non hanno avuto la fortuna di avere un’istruzione scolastica, hanno un dottorato in cura dei cavalli. È praticamente impossibile che qualcuno che esca dalle scuole superiori o dal college negli Stati Uniti sia in grado di imparare tanto in così poco tempo. E soprattutto che abbia l’etica del lavoro per fare ciò che è necessario quando si ha a che fare con i cavalli».
È opinione comune tra gli addetti ai lavori del mondo dell’ippica statunitense (in larga parte elettori Repubblicani…) che i blitz dell’ICE negli ippodromi e negli allevamenti (ma anche nelle farm o negli alberghi…) avrà come unico risultato quello di rendere il reperimento delle forze lavoro ancora più arduo e soprattutto più costoso.
La prima contromisura che il popolo degli ippodromi americani (dirigenze comprese) stanno tentando di organizzare è una sorta di cordone intorno alle strutture e alle scuderie che prevederebbe la restrizione degli accessi ai non addetti ai lavori. Quindi anche agli uomini dell’ICE. Che tuttavia difficilmente non avranno credenziali di livello superiore a qualsiasi guardiania privata si voglia porre in essere.
Sempre parlando dell’ICE, un’altra celebrity del mondo del turf d’Oltreoceano, Dale Romans, ha dato voce ai pensieri di tantissimi suoi colleghi: «C’è grande nervosismo. Se non possiamo avere la manodopera degli immigrati è a rischio l’esistenza stessa del mondo delle corse. Abbiamo bisogno di molto buon senso e un piano di legalizzazione a lungo termine. Non stiamo parlando di cittadinanza. Ma sicuramente di permessi di lavoro».
Il tema, molto pratico, da qui in avanti diventa uno squisito gioco politico. Fatto di stati a governance repubblicana e altri in mano agli oppositori democrats… Ma per fortuna, la querelle – almeno quella politica – questa volta possiamo valutarla da lontano.